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Rafael Nadal, elogio di un fallimento

Ma chi è quel ragazzo un po’ goffo vestito di verde che arranca sull’Arthur Ashe contro un onesto lavoratore della racchetta al quale la natura ha negato i centimetri necessari per diventare altro? Chi era quello smunto spagnolo che cedeva il tiebreak decisivo al connazionale López a Cincinnati? Chi era quel timido e impacciato tennista che veniva travolto sulla terra rossa da Djokovic? Quello incapace di capitalizzare il vantaggio contro Wawrinka a Roma, in vantaggio per 6 a 2 nel tie-break del primo set, magari per la paura dell’avversario del giorno dopo, il rivale di sempre nella loro epica sfida che pure ha un nome, il #Fedal. E chi era quel tennista capace di perdere due volte in un anno contro Fognini, sul rosso, per giunta. Chi è insomma, Rafael Nadal?

Quello che è stato è inutile saperlo, non c’è niente che dà più dolore che ricordare i momenti lieti quando si è infelici, e Rafael Nadal non ha l’aria di uno che si stia divertendo. Il ragazzo in canotta, che mordeva trofei su trofei, colui che ha ridotto all’avvilimento il più grande di tutti, quello al quale dovevi fare il punto quattro, cinque, cento, mille volte prima di farlo arrendere non c’è più e non tornerà, lo sappiamo tutti e lui, Rafael Nadal, prima di tutti. Del resto “la sofferenza è la mia compagna”: come potrebbe esserne sorpreso?

E Rafa soffre. Soffre le numerose sconfitte, soffre la domanda sul cambio dell’allenatore, quello Zio Toni che è stato mentore e sergente di ferro, aguzzino e vincente. Soffre forse quel macho spagnolo sempre abbronzato e con gli occhiali sempre inforcati capace di commuoversi per il nipote a Wimbledon ma solo dopo che l’anno prima lo aveva ripreso severamente quando a piangere era stato invece lui, Rafa. Soffre il fatto di sapere anche lui quello che troppe persone – a partire dai tanti giornalisti che trasformano le conferenze stampa di Nadal in autodafé, disinteressati a calarsi nel vortice di insicurezza di uno sportivo che si avvicina sempre di più alla fine della sua carriera e che è desideroso forse di prendere decisioni questa volta senza l’imprimatur della sua famiglia – sanno: che  cambiare allenatore potrebbe rappresentare una soluzione alle delusioni sportive dello spagnolo.

Rafael Nadal allo Us Open 2015: giocherà con Fognini, contro il quale ha perso 2 volte nel 2015
Rafael Nadal allo Us Open 2015: giocherà con Fognini nel terzo turno, contro il quale ha perso 2 volte nel 2015

Perché che Nadal deluda chi si ricorda lo spirto guerriero che sempre ruggiva è indubbio. Ma quest’altro Nadal ci riprova sempre la settimana settimana con indomita costanza. Ci prova allenandosi sempre di più, giocando sempre di più. E ci prova con le parole, cercando di autoconvincersi sì con le solite dichiarazioni ma dalle quali sfugge qualche scampolo di verità, perché la crisi è crisi e parlarne forse aiuta. Anche con gli sconosciuti. Ma come si fa poi a ripartire da zero con uno sconosciuto? Condividere con lui paure e preoccupazioni, separare quella simbiosi famiglia-tennis, gemelle siamesi cresciute con i tuoi successi e che ora un demiurgo qualsiasi dovrebbe separare per la tua palingenesi. Senza la minima certezza di quel che accadrà, se non che zio Toni ci potrebbe rimanere male. Come desiderarlo quando i vamos in tribuna sono stati la colonna sonora di dieci anni di successi inimmaginabili? Il papà Sébastian, lo zio, magari anche con l’altro fratello Angel, un fortino emotivo presidiato su ogni lato. Tutti allineati a proteggere Rafa. Giornate indimenticabili, che non torneranno, anche se i tuoi colleghi ti reputano in grado di farcela ancora. Mentono, perché ricordano il vecchio Rafa, quello che butta la pallina sempre dalla loro parte del campo anche quando il punto è finito. È stato il loro incubo per anni, come non temerlo ancora?

Ma quel Rafael Nadal non c’è più, quel ragazzo è cresciuto e insieme all’adolescenza e ai trionfi si è lasciato dietro anche l’assurda immagine dell’uomo di roccia, di quello che non deve cedere, granitico e ossessivo. Poche cose porterà con sé nella maturità, quest’uomo che si avvicina ai trent’anni; sicuramente l’orgoglio, che tanta parte ha avuto nei successi dei bei tempi e oggi è l’unica risorsa sulla quale fare affidamento per tenersi in piedi sportivamente. “Sono numero 8, non sono il numero 100” ha detto in conferenza stampa agli US Open. Come a dire: “Sto facendo schifo, ma sono sempre tra i migliori, e di sicuro non mollo”. E allora c’è il campo, dove questa volta il rispetto tennistico dell’avversario va riguadagnato, non è più for granted, garantito dal nome, dai successi, dalla storia. Il campo che ha parlato per prima quando in un secondo turno qualsiasi degli Australian Open Rafa arrancava contro un altro bravo figlio che non aveva nemmeno metà del talento, della potenza e dell’esperienza, di uno la cui stagione prometteva brutte novità. E in quell’esultanza bagnata di lacrime e di sudore, in quell’urlo strozzato dalla fatica e dalla paura di perdere, c’era un po’ del Rafael Nadal che fu e molto del Rafael Nadal che sarà.

Rafael Nadal esulta per un combattutissimo secondo turno agli Australian Open 2015
4 ore e 12 minuti di pura sofferenza: a Melbourne Nadal corre almeno una maratona all’anno.

Ma questo ragazzo che ha consegnato il suo nome alla storia di uno sport non così aristocratico come si è portati a credere comincia a capire che diventare adulti è essere un po’ diversi da come si sperava di essere; in genere un po’ peggio. A Nadal succede quello che a tutti succede. Arranca, cerca di capire chi è, cosa lo aspetta. E lo fa forse nel modo migliore, dando valore a parole che dette quando il mondo è ai tuoi piedi sembrano persino ipocrite (“sono umile”, “devo lavorare”, “il prossimo incontro è difficile”, “non sono il favorito”) ma che quando vedi gli altri davanti, altri che si sarebbero spaventati a vederti dall’altra parte del campo, assumono un altro senso. E il passato non si legge forse alla luce del presente?

Rafael Nadal prende contatto con la sua nuova vita, quella di chi suda, sbuffa, lotta, alterna generosità ad egoismi, piccoli imbrogli a piccole strategie, che a volte vince ma più spesso perde. Il suo terribile dritto è un colpo diventato normale, le sue corse che trovavano un senso nello sfinimento dell’avversario adesso sembrano confessioni di impotenza, la sua enorme sicurezza di sé ha lasciato il posto ad una semplice, terribile considerazione: “e se sbaglio?”. Ma per quanto gli anni che passano inesorabilmente ti peggiorano, una cosa non potranno fare: renderti meno intelligente. E Rafael Nadal, dietro i tic, le esultanze scomposte, i sempre più imbarazzati morsi ai trofei, dietro il tennis e le corse è stato un ragazzo intelligente. Sarà un uomo intelligente. È in fondo la vita di tutti noi: l’unico pericolo che corre è che il rimpianto che noi abbiamo per quello che sarebbe potuto essere e non è stato, nel suo caso diventi per quello che era e adesso non è più. Chissà se vale la pena di cambiare le nostre mediocri vite con la sua, chissà se a lui piacerebbe scambiare la sua nuova mediocre vita con le nostre.

Rafael Nadal


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