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Molto più di una vittoria

La conferenza stampa dell’ultima vittoria da imbattuto al Roland Garros fu una conferenza stampa di routine per Rafael Nadal. Il quattro volte vincitore del torneo aveva appena sconfitto Lleyton Hewitt, impegnato a ricostruirsi la classifica dopo un infortunio all’anca subìto l’anno prima alle Olimpiadi. Hewitt aveva vinto le partite che doveva vincere, rimontando due set a Ivo Karlovic nel primo turno e superando Golubev senza problemi; contro Nadal non gli si poteva chiedere molto. E infatti vinse appena cinque game, permettendo allo spagnolo di salire a quota 31 vittorie su 31 partite nel torneo parigino. E dato che il suo connazionale, David Ferrer, testa di serie numero 14, aveva perso in quattro set contro uno svedese dai lineamenti marcati e dal dritto tanto macchinoso quanto potente, Robin Söderling, a nessuno venne in mente di fare qualche domanda a Nadal sul suo prossimo avversario. Gasquet era stato da poco squalificato ed essendo Nadal sempre molto disposto a parlare delle pratiche dell’antidoping, si parlò più che altro di quello. A fine conferenza stampa, non mancarono i soliti complimenti all’avversario e gli attestati di fiducia verso sé stesso (“Gioco ogni giorno un po’ meglio. Aver vinto 6-1 6-3 6-1 è molto positivo”). Ma se ti chiami Rafael Nadal e devi giocare un ottavo di finale al Roland Garros contro un avversario che non era mai arrivato tra gli ultimi sedici in un Major come puoi non avere fiducia in te stesso?

Com’è andata due giorni dopo con quello svedese lo sanno anche i sassi. Quella partita è diventata uno di quei parametri con cui si dividono le carriere dei campioni: c’è un Nadal pre-Roland Garros 2009 e c’è un Nadal post-Roland Garros 2009 così come c’è un Federer pre-Wimbledon 2008 e un Federer post-Wimbledon 2008. Fu una partita talmente incredibile che praticamente ciascuno di noi ricorda dov’era, con chi era e come ha fatto per vedere quella partita (almeno per quanto riguarda gli spettatori europei che non erano sul Philippe Chatrier, dato che Eurosport commise una delle scelte di palinsesto più folli e inspiegabili della storia sportiva, interrompendo la diretta da Parigi per mandare in onda il Giro d’Italia). Quando l’ultima volée di Nadal atterrò sul corridoio e la sconfitta impossibile da immaginare si tramutò in realtà tangibile, Robin Söderling esultò in maniera abbastanza pacata se si considerano la sua scarsa abitudine a battere i più forti e soprattutto la portata di quella vittoria. Nemmeno le due successive vittorie, contro Davydenko in tre set e contro Fernando González in cinque, smossero più di tanto lo svedese, in effetti.

Due anni dopo, dopo un’altra finale a Parigi e due partecipazioni al Masters di fine anno, Söderling giocherà l’ultimo torneo della sua carriera, lasciando un game a Tomas Berdych in semifinale e quattro a David Ferrer in finale. La mononucleosi ha interrotto la sua carriera a 27 anni senza preavviso, come lui aveva interrotto l’imbattibilità di Nadal a Parigi in una tranquilla domenica di fine maggio senza che nessuno se l’aspettasse. E nonostante una carriera da numero 4 del mondo, nonostante sia stato a tre set da riportare uno Slam in Svezia, nonostante sia riuscito a vincere uno dei pochi Master 1000 lasciati da quei quattro che hanno divorato tutto per un decennio e oltre, la sua carriera sarà indissolubilmente legata a quella partita. Eppure, il torneo migliore della sua carriera è stato quello giocato dodici mesi dopo quel 31 maggio 2009. Perché le aspettative erano tutte su di lui e perché non era mai riuscito a battere Roger Federer in dodici incontri; perché Tomas Berdych non aveva nulla da perdere e perché tutti erano pronti a scommettere che quell’ottavo di finale era stato soltanto un abbaglio di massa. E invece Soderling arrivò ancora al cospetto di Nadal, ma forse erano un altro Nadal e sicuramente era un altro Soderling, sfinito da tutte quelle prove superate con brillantezza ma con chissà quanti pensieri. Troppi.

Quattro anni dopo Båstad, a fine anno, Söderling ha deciso che non aveva più le forze per provarci, che quei messaggi di speranza avevano preso troppa polvere e che ormai è giunto il tempo di pensare ad altro. Purtroppo per lui, gli altri continueranno a pensare a quella partita. Forse è disonesto ridurre la carriera di un tennista ad un solo match, ma quando si parla di Robin Söderling non si può non parlare di quella partita. Prima del Roland Garros di quest’anno disse che Djokovic era il chiaro favorito del torneo e che una seconda sconfitta di Rafa sarebbe quasi stata un sollievo per lui perché la gente, finalmente, sarebbe andata oltre a quella vittoria. Lui, che ha sempre detto che confermare la finale nel 2010 è stato molto più difficile che raggiungere la finale da semisconosciuto l’anno prima, ci aveva visto giusto. Djokovic, alla fine, ha battuto veramente Nadal. Ma è stata una profezia esatta a metà. Non certo perché Djokovic non ha vinto il titolo – nemmeno Söderling lo vinse, dopo tutto – ma perché chiunque abbia visto quelle due partite, sa anche che è impossibile paragonarle.

La carriera di Söderling è finita ufficialmente qualche giorno prima di Natale, oltre quattro anni dopo l’ultima partita ufficiale. Ma per tutti, oramai, Robin era un ex giocatore. I suoi tentativi di non darsi per vinto non hanno avuto successo, così come non ha avuto successo il tentativo di sostituire il ricordo di quella partita di sei anni fa con qualche trofeo. È un po’ quello che potrebbe capitare a Roberta Vinci, chi ricorderà la sua carriera tra cinquant’anni, potrà riassumerla in una sola partita. La reductio ad unum delle storie sportive, forse, è una delle ipersemplificazioni più inevitabili e crudeli. Loro, però, avranno nel cuore tutte quelle altre partite che gli hanno permesso di ricordarsi che un tennista non è fatto soltanto di una sola, grande partita.

Robin Söderling


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