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Metti una domenica al circolo

Una domenica a Roma con 20 gradi: o vai a San Pietro a prenderti l'Angelus del Papa oppure vai al circolo tennis.

Una domenica a Roma con 20 gradi: o vai a San Pietro a prenderti l'Angelus del Papa oppure vai al circolo tennis.

La domenica mattina quando il cielo è terso e il sole è alto Roma diventa paciosa. Il traffico è pressoché assente, e quel poco che c’è si ode sordo in lontananza. Ci sono almeno 20 gradi, è novembre, e una giornata in mezzo al verde è l’ideale per godersi il riposo settimanale. E pazienza se non c’è il sindaco, pazienza se la Roma ha perso il primato in classifica, la domenica mattina al circolo tennis lenisce tutto.

Al circolo a due passi da via Nomentana, dove campi in terra rossa si mischiano a piscine e campi da calcetto, questa domenica è tutta per i tennisti. Le piscine sono chiuse, è festa. Senza  baby-nuoto i tennisti della domenica, quelli sempre in cerca di un capro espiatorio per i loro colpi fallimentari, non possono che prendersela con il creatore, invece che con i bambini che li guardano curiosi rimpallarsi una piccola palla gialla, con le piccole mani appoggiate alla recinzione.   

Alle dieci, chi più chi meno, ci si ritrova tutti al circolo. Non ci sono i ragazzi, probabilmente ancora a letto a dormire. C’è, invece, chi non gioca più, ma che paga comunque la quota per sentirsi socio a pieno titolo pur guardando il tennis dalle tribune. E c’è la fila alla segreteria, dove bisogna essere tutti presenti per prenotare il campo al momento, al massimo per 50 minuti se è singolare o 70 se si è in quattro. Come i cattolici non si perdono la messa della domenica, i tennisti non mancano mai l’appuntamento col tennis al settimo giorno. Certo, 50 minuti sono un po’ pochi, un set al massimo se la partita è equilibrata, allora è meglio fare un doppio almeno si sta in campo un po’ di più.  Certo, ci sarebbero i due campi coperti dal pallone, ma oggi, con questo sole, con le giacche e le felpe tolte ancor prima di essersi scaldati in campo, giocare al coperto sarebbe veramente fare un torto a Roma.

I campi di terra sono colorati di un rosso saturo, lo stesso dei filtri di Instagram. In campo ci sono gli habituée delle ore piccole.  C’è il padre che gioca con la figlia, entrambi mancini, con lei vestita con i leggins della palestra e lui con il completino della Lotto degli anni ‘90, slavato. Palleggiano senza fare mai la partita, lanciando la palla di inizio gioco di controbalzo, e con lui che gioca mezzo metro dentro la linea di fondo campo muovendosi come i giocatori del bigliardino, solo longitudinalmente: invece di muoversi in avanti colpisce di volo se la palla è troppo lunga, pur di non retrocedere. Di fianco  c’è un doppio misto che si gioca praticamente da fermo, una partita che si gioca a velocità nulle, con le palline che non si consumano mai, come le corde dei padelloni di questi signori anziani che però non rinunciano mai al campo.

Il punto di ritrovo è sulle tribune del circolo, irradiate dal tepore del sole. Arriva Mauro, che Riccardo, un altro socio,  chiama “il foglio”. Mauro ha 45 anni e un fisico tutto nerbo e muscoli. Gioca bene, forte del fisico leggero, come un foglio per l’appunto, e può correre in campo senza sosta rimandando di là la pallina finché il suo avversario non sbaglia. Questa domenica non può giocare, la moglie ha invitato gente a pranzo. Lui però non ce l’ha fatta a rimanere una domenica senza il circolo, e allora si è inventato una “spesa da fare” pur di passare al circolo un quarto d’ora. “C’ho la spesa sul motorino, posso stare poco. Chi sta giocando? Con chi giochi te? Che hai fatto ieri, hai vinto?”.

Passa Marco, che ha appena finito di giocare con Luca. Marco gioca bene, ha un braccio molto fluido, e alterna errori banali a frustate, specie con il rovescio, che ti lasciano a metri dalla palla tanto sono veloci e ben eseguite. Anche al servizio colpisce benissimo: è il classico giocatore che non ha mai preso il tennis troppo sul serio, incostante, quello che sbaglia troppo per poter vincere una partita con uno più bravo di lui. Infatti insegna calcio ai bambini. Riccardo vuole prenderlo in doppio con lui per sfidare Mauro, “il foglio”, e Tommaso, un socio da poco arrivato che perde poco. Dice che vuole giocare “quando c’abbiamo una giornata da perde”, cioè quando un “incrocio spaziale” farà in modo che quattro padri di famiglia si ritrovino al circolo con del tempo da perdere, per organizzare un doppio che “sarà una Waterloo”, come lo bolla Riccardo. “Anzi, Waterloo prima della fine fu lottata”, precisa Mauro.

Sul campo numero 3, il centrale, c’è un singolare in corso. I due, Luca di mezza età, Carlo molto più verso gli “anta”,  di solito giocano il doppio la domenica mattina, ma adesso Carlo, che si sta riprendendo da un acciacco, vuole giocare il singolo per rientrare in palla. A Riccardo, che dalle tribune chiede se i due vogliono fare un doppio, risponde con tono “peccaminoso” che ha bisogno di “giocare un po’ in singolo per ritrovare i colpi”. Gli chiede proprio “scusa”, giustificando la voglia di singolare.

Riccardo ha un tono di voce particolare, un baffetto alla Hitler e la sua presenza si fa sentire sempre. Gli piace molto scherzare ma ha un bel caratterino: non è difficile vederlo imprecare in campo anche con il suo compagno di doppio. È al circolo da venti minuti e non ha ancora trovato con chi giocare, anzi: ha già incassato un no. Sul campo 4, infatti, sta giocando Maddalena con un altro socio. Maddalena è una signora bionda di mezz’età che gioca molto bene a tennis. Colpisce rigorosamente di piatto il diritto, e di rovescio colpisce a due mani per poi staccare la mano sinistra al momento dell’impatto, disegnando traiettorie lineari. Il giorno prima era riuscita dove Riccardo non riesce oggi: a trasformare un singolare in un doppio.  La storia l’ha racconta proprio Riccardo agli altri compagni sulle tribune, seduti sulle panche di plastica bianche a irradiarsi del sole: Ieri m’ero acchitato un singolo con Mario. Poi è arrivata lei e dice che vuole giocare. Ma n’è che m’ha dato il tempo de risponneje, m’è proprio entrata proprio in campo già cambiata.  Oggi, che sta facendo il singolare, le sono andato a chiedere se potevamo fare un doppio e lei m’ha detto de no. Capito?”. “Bisogna pesare le persone” gli risponde un socio che oggi non può giocare. Ha la moglie in ospedale, ma è passato per vedere un po’ gli accoppiamenti della domenica.

Arriva Bruno, un settantacinquenne che ancora si tiene in forma. Ha un fisico statuario, è molto alto, e gioca sempre con la fascetta elastica in testa stile Borg. Quando serve tiene la seconda palla sempre in mano e non la usa praticamente mai. Viene subito reclutato da Riccardo per fare un doppio, in compagnia di altri due soci sopraggiunti alla spicciolata e alla disperata ricerca di un campo libero. Il cinismo di Riccardo, che preferirebbe di gran lunga giocare uno contro uno, ma non con Bruno,  non è esattamente all’acqua di rose: “Non posso fa er singolare co Bruno, c’ha 75 anni, che ce gioco a fa? Giusto pe pijà er sole”. Intanto i 50 minuti di Maddalena sono finiti. “Namoje a levà er campo, almeno ‘sta soddisfazione”, dice Riccardo mentre mette in spalla il borsone e prende il vialetto dei campi.

Sulle tribune si parla di tutto. Ci sono soci che oramai non giocano più che parlano della partita della Roma la sera prima, oppure delle sorti della città che ora non ha più il sindaco a governarla ma ben due prefetti. C’è un signore che aspetta l’arrivo di un socio, un avvocato, perché deve sottoporgli un importante quesito per un ricorso da inoltrare. Oppure c’è chi chiede a Stefano, imprenditore edile, se il prezzo che gli hanno prospettato per l’acquisto di un box auto a viale Somalia è quello giusto. “Non se move più niente adesso; io c’ho 70 box fermi ai Parioli e non riesco più a vennelli”, lamenta l’imprenditore in attesa di scendere in campo.

Sono da poco passate le undici, e sui campi va in scena il “cambio della guardia”, con i giocatori che entrano che neanche passano lo straccio per ripulire il campo: si perderebbe tempo. Spetterebbe ai soci che escono rifare il campo, ma sarebbe tempo tolto al tennis e, quindi, non lo fa nessuno. Sul campo 4 entrano Eddi e Tommaso. Hanno giocato anche  il giorno prima, Tommaso ha vinto facile e, al momento di prenotare il campo, il patron del circolo lo ha ammonito dicendogli di “non bastonare Eddi anche oggi”. Perché quando giochi, anche se non c’è nessuno a guardarti, i punteggi sono comunque oggetto di passaparola. E contano, anche se sono partite di allenamento. Tutti i soci sanno sempre chi ha giocato e quanto è finita la partita. Ci si monitora a vicenda, perché bisogna sempre sapere le condizioni dell’avversario nel borsino tennistico del circolo, sapere chi è in forma, chi è da evitare. Tutto, più che altro, per scegliere meglio il compagno di doppio. Cose così.

Di fianco a Eddi e Tommaso gioca Stefano, l’imprenditore. Sta anche lui sulla cinquantina e gioca sempre contro lo stesso compagno, Raffaele. Che è anche il suo cardiologo. I due sono protagonisti di sfide molto equilibrate, con Stefano a cercare di costruire il punto e Raffaele a rimettere tutto, con un diritto giocato solo di polso ma in perfetto controllo e un rovescio in back che è una rasoiata che crea molti problemi a Stefano. Il medico, poi, non dice neanche una parola fra uno scambio e l’altro mentre Stefano fa le battute con i soci sulle tribune, impreca e si maledice. Qualche giorno prima fra un quindici e un altro è riuscito a istruire una nonna che giocava con la nipotina sulle gradinate su come assistere a una partita in silenzio: voleva che se ne andassero altrove a giocare. E queste se ne sono andate.

Eddi intanto è sceso in campo con la voglia di rifarsi della sconfitta del giorno prima. A vederlo nei primi game c’è la moglie con la piccola figlia di quasi tre anni, che inizia a piangere poco dopo. Lui è concentrato sul match, fa uno sguardo alla moglie e questa si incammina con la piccola verso i campi da calcetto, con il lamento che svanisce in lontananza. Eddi impreca, come e più di Stefano. Il punteggio lo vede sotto 3 a 1, ma si riprende e lo ribalta. Anche perché Tommaso è un po’ distratto oggi. Intanto, Stefano e Raffaele giocano scambi molto lunghi, e molto più lenti di quelli del campo adiacente. Dopo un punto molto lungo Raffaele va giù duro con lo sfottò: “Te ce faccio schiattà su quell’angolo!”. Però poco dopo gli fa con tono un po’ serio e un po’ scherzoso: “Oh, come stai?”. E Stefano si mette in equilibrio su un piede solo con le braccia allargate, a dire che sta bene e può continuare a correre. Di là vince Eddi, 7-5, un set dall’andamento un po’ strano ma che gli restituisce fiducia dopo la “bastonata” del giorno prima e che gli fa ritrovare il sorriso, specie quando alla fine del vialetto che porta agli spogliatoi incrocia la figlia, che abbraccia felice.

Sono le 12 e 30, ed è quasi ora di smontare, c’è tempo giusto per la doccia. Quello che accomuna tutti questi soci anziani è che sono al circolo senza moglie. D’estate, quando sono in funzione le due piscine, quella grande, aperta al pubblico pagante e quella piccola,  riservata per i soli soci, le consorti sopraggiungono per mangiare un boccone in compagnia, su tavolate lunghe allestite sotto la pineta, dove c’è fresco e dove si gioca a burraco nel pomeriggio.  Ora non ci sono. Qualcuno ha ospiti a casa. “C’è mi moje che ha acchitato un pranzo con ospiti, du’ palle. Anzi famme annà via che sennò me chiude la pasticceria, che devo comprà le pastarelle”. Il circolo si svuota, la liturgia è stata celebrata, domenica si replica, tale e quale.


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