Abbiamo problemi con la gente.
By Clotilde Cerami Posted in haters on 24 Settembre 2015 5 min read
Purtroppo convivo con un tennista. Ma nessuno è perfetto.
Del resto, ho saputo del tennis nella sua vita dopo essermene innamorata. Diciamo quasi da subito.
L’apice del mio rapporto con il tennis risale a trent’anni fa, quando, stufa del nuoto, chiesi a mio padre di farmi provare questo sport strano, in cui stai sempre da sola a parlare con la racchetta, che ai tempi pesava pure. La liaison durò pochissimo, con la racchetta potevo prendere le farfalle, non certo la palla. Quella breve esperienza però fu illuminante per capire quanto non mi piacesse uno sport che, mentre lo pratichi, non ti permette di ridere. Mai.
Proverò dunque a descrivere quanto sia dura la vita accanto un tennista che lo pratica, che ne scrive, che ci si ossessiona.
Cominciamo col dire che i tennisti, tra loro, si riconoscono. E subito. Fanno gruppo, rapidamente creano una piccola comunità che riesce ad autogestirsi. Sicuramente c’è un medico, un avvocato, probabilmente c’è un impiegato/quadro, sicuramente un giovane hipster magari pippa nel tennis giocato ma, sembra, fenomeno in quello parlato. Questo gruppo finirà con lo scandire la mia vita più di quanto non riesca al mio tempo biologico: è quello metereologico che è importante, perché serve a capire quando e dove si possa giocare.
Vivere accanto ad un tennista finisce col farti subire una serie di vessazioni:
Tutte queste prime angoscianti impressioni le ho riscontrate personalmente in questo marito che mi sono scelta e nella cerchia di amici tennisti che, quando li frequento perché costretta, mi innervosiscono.
Generalmente gli incontri tra di loro funzionano così:
Tennista marito (T.M): Ciao, come stai, sei più andato al circolo?
Tennista amico (T.A.): Ciao, sì, ci sono stato e ho visto giocare XX, molto bravo, ora ha la racchetta XY, fa il rovescio YY…
(T.M.- eccitato): Ma dai, anche la racchetta XY che pesa ben 2 grammi in più di quella di Federer, questo allora significa che nella scala sociale lui è uno forte (vabbè, magari questo lo penso io, schifando tutto il mondo del tennis);
(T.A.): A proposito hai visto lo slam-campionato-coppa davis-altri-ed-eventuali-Tornei in tv?
(T.M. – a questo punto arrapato): Ceeeerto, hai visto il rovescio in back (l’ho scritto, ma forse è una mia fantasia morbosa e distorta di chi vuol dargli un rovescio in faccia) di Tizio o Caio? Un vero fenomeno.
Ad un certo punto mio marito dice quasi sempre cose del genere: “Ma lo sai che io una volta giocavo come Tizio o Caio con la racchetta tic-tac poi però ho cambiato gioco e ora mi ispiro a nuovo-idolo?
Io: ————————————–
Passano quaranta minuti e T.A. e T.M., completamente rincoglioniti, ancora e ancora parlano parole di tennis. Io sto lì immobile, con lo sguardo diretto verso lo zenit della mia esistenza, sperando che un giorno un governo giusto proibisca l’uso del tennis parlato, ragionato, anche solo pensato.
Lo vedo nello sguardo, nello sguardo delle compagne dei tennisti. Vedo la noia che ci attanaglia quando siamo costrette, dal protocollo della moglie del tennista, ad ascoltare le indecifrabili conversazioni tennistiche. Non ce ne frega niente. Ma zero.
Un giorno questo marito con la barba e con il pallino del tennis (e del metal, della fotografia, del web, del calcio, del calciotto e non dico altro sulla mia pazienza) mi ha costretto a vedere una partita che non finiva più. Un giorno ne parlerò, quando il cuore sarà pronto ad affrontare di nuovo lo scazzo che mi era preso.